Comunicano dalla regia che Lucio per amico ha ottenuto un altissimo riscontro di pubblico: pare sia il documentario musicale italiano con il più alto ascolto di sempre – 2 milioni 263 mila spettatori con il 13,8% di share. Per quello che può contare, soprattutto per chi lo ha scritto e prodotto, è un dato rilevante.

Passando dal dato contabile a quello affettivo, la cosa più bella è stata la marea di messaggi che mi ha travolto da ieri sera: complimenti e congratulazioni, qualche sanissima critica, curiosità di vario genere, ne sono tanto lieto. Ringrazio di cuore tutte e tutti, anche se ho fatto ben poco: ho solo raccontato, in una lunga e dettagliata intervista di grosso modo un paio d’ore, l’intera vicenda artistica di Lucio Battisti, provando a fare emergere la storia del musicista. Per intero, dal periodo di apprendistato con i Campioni alla rivoluzione di Don Giovanni.

Peccato che tra girato e montato ci sia una differenza sostanziosa, e penso che questo riguardi anche gli interventi di Adriano Pappalardo, Ernesto Assante, Franco Mussida e Pietruccio Montalbetti, quattro ospiti che credo abbiano parlato lungamente, non solo dell’Era Mogol. E’ vero che se il lavoro fosse stato integrale sarebbe durato sei giorni, ma resta comunque un peccato: un grande peccato per la ricostruzione storica incompleta, un piccolo peccato anche per me poichè solitamente sono generoso nel raccontare la storia del dopo Mogol, da E già a Hegel.

Pragmaticamente va anche detto che un documentario non è un podcast, è un’opera strutturata con immagini, si nutre e nutre il pubblico con la componente visiva: gli anni ’80 e ’90 di Lucio non sono supportati da video (ma l’avvocato del diavolo potrebbe dire: non si potrebbero realizzare interviste ad hoc e reinvenzioni con musicisti?) e non bisogna sottovalutare il fattore liberatorie, che credo valga anche per le copertine dei dischi bianchi.

Il risultato è stato un documentario lineare e coinvolgente nella narrazione, ma incompleto, con una cesura finale – e non commento la parte delle cover, come non ho commentato altrove il “libro” di Scanzi. La riflessione definitiva potrebbe riguardare proprio il docufilm come mezzo, probabilmente inadatto – o limitato, o superato – a veicolare la biografia battistiana.

Lucio per amico contiene comunque una chicca. Ho detto che Un’avventura a Sanremo raggiunse il settimo posto. Errore degli errori: era il nono. Il Dio della Musica mi perdonerà.